PACIFICO MERIDIONALE.
Esiste una zona dell’oceano Pacifico che è quasi sconosciuta a chi naviga per mare, assolutamente fuori da ogni rotta commerciale e ben alla larga da qualsiasi tentazione di esplorazione da parte di navigatori solitari o diportisti avventurosi.
Un triangolo di mare compreso tra Capo Horn a est, Easter Island (isola di Pasqua) a nord ed East Cape dell’Isola del Nord della Nuova Zelanda a ovest; a sud la tremenda zona dell’Antardide.
Con un vento di prua di 55 nodi la mia bellissima Stratosphere tirava una bolina maledettamente scomoda per arrivare a doppiare Capo Horn e lasciarsi di poppa le tempeste che a quelle latitudini impegnano l’oceano per trecentoquaranta giorni all’anno. Stratosphere era la copia esatta di Endeavour un famosissimo sloop bermudiano di 39 metri e mezzo di Camper e Nicholson varato nel 1934 la cui storia in coppa America fu oggetto dell’attenzione mondiale quando nel 1934 si battè contro Rainbow di Harold Vanderbilt perdendo malamente (4 a 2) benché fosse la barca piu’ veloce.
La storia di Endeavour mi aveva particolarmente affascinato, una barca che dopo tanti anni oscuri resuscitò grazie a Elisabeth Meyer, nipote di Kather Washington Post.
Endeavour, il piu’ veloce e famoso “J Class” mai costruito, giaceva negletto, adagiato sul fango sotto un hangar dell’Isola di Wine Graham.
La barca in stato di abbandono venne scoperta da Elisabeth Meyer che fulmineamente prese la decisione piu’ azzardata di tutta la sua vita: quella di acquistare Endeavour e di restaurarlo per riportarlo al primitivo splendore. Una simile idea era già passata per la mente al proprietario che lo aveva acquistato nel 1978, ma che aveva dovuto desistere dal proposito per successiva mancanza di fondi.
Per la ricostruzione di Endeavour, i cui piani originali erano andati distrutti in un incendio del cantiere durante la guerra, la Meyer scelse tre collaboratori che si rivelarono fondamentali: Frank Murdoch, ingegnere di ormai 81 anni che aveva partecipato alla fase di progettazione e di costruzione della barca; Gerry Dijkstra, ingegnere, velista e progettista di Jessica ed infine John Munfold, al quale venne conferito l’incarico di disegnare gli interni. Mentre a Calshot Split, nel cantiere allestito ex novo dalla Meyer, si lavorava alacremente al rifacimento dello scafo (sostituzione di almeno due terzi delle vecchie lamiere) l’intraprendente Meyer recuperava fondi grazie alla vendita di 50000 copie del suo volume “YACHTING”.
Nell’Agosto del 1986 Endeavour, scafo fiammante, venne rimorchiato attraverso la Manica e poi nelle acque interne sino a Vellenhobe in Olanda, dove proseguirono i lavori di ristrutturazione interna.
Sotto la sapiente regia di Walter Huisman, gli interni presero forma, arredi e mobili vennero ricostruiti in perfetto stile Edwardiano; tutti i ritrovati della piu’ alta tecnologia vennero impiegati per la strumentazione di bordo, mentre le vele vennero commissionate a Ted Hood a Marblehad. I colori originali dello scafo vennero rispettati: due tonalità di blu con una striscia di grigio chiaro lungo la linea di galleggiamento. La coperta fasciata in teak del Siam.
Io vidi Endeavour entrare nella baia di New York una mattina di Settembre e me ne innamorai a prima vista, decisi che quello splendore doveva essere mio. Pur mettendo a disposizione cifre piuttosto interessanti non riuscii mai a possedere lo yacht a causa dell’ostinazione degli eredi della Meyer; fu così che decisi di incaricare di nuovo un cantiere Inglese per avere una copia esatta di Endeavour.
Stratosphere fu varato il 25 Aprile 2010 e con una traversata da record raggiungemmo New York in soli 19 giorni. Portavo la barca controcorrente sul fiume Hudson a quasi 8 nodi: le sirene della Guardia Costiera ed i potenti getti d’acqua delle navette dei Vigili del Fuoco salutavano il nostro arrivo.
Rivedere l’oblò di dritta esattamente al suo posto fu per me quasi una sorpresa; la bolina stretta lo faceva solitamente abbassare sino a pelo d’acqua e ora stava al suo posto due metri sopra la linea di galleggiamento: ”che strano” dissi alzandomi dal mio lettone che, montato su di una splendida bascula in ottone massiccio, mi consentiva quale fortunato armatore di avere sempre il letto parallelo al mare; visti basculare i fornelli della cucina di bordo avevo voluto che lo stesso principio fosse applicato al mio letto nella cabina di poppa, una stravaganza che ovviava splendidamente alle andature scomode.
“Molto strano” pensai, anche tutti i quasi 700 metri quadri di bellissime vele in carbonio non spingevano piu’ lo Stratosphere in un mare cattivo, anzi, il mare da quell’oblò di dritta pareva assolutamente calmo e il vento? Scomparso.
Il mio magnifico skipper, una splendida fanciulla Italiana ex venditrice di jet privati, di nome Maga, – cugina di Giovanni Soldini e figlia di Gian Pio Maga ex comandante (fu il piu’ giovane in italia) di navi Liberty, fu a bordo delle piu' belle barche a vela del mondo e ultimamente espertissimo Comandante del porto di Porto Cervo - bussò delicatamente alla porta.
“ Abbiamo bel tempo, calma piatta e un verde smeraldo sotto la chiglia,… le condizioni ideali per fare asciugare le ossa, se poi con l’aggiunta di un bel piatto di gamberoni alla fiamma ed una bottiglia di Chablis… ritroviamo anche il buon umore, che male c’è? ”
“Come? Qui? Non ci posso credere”
“Dai vieni su e goditi questa bonaccia”
Assolutamente fermi, niente corrente, niente brezza ma per quella latitudine degli inaspettati magnifici 23 gradi di temperatura e poi quei colori che in un attimo avevano sostituito il cielo ed il mare freddi e plumbei. Niente all’orizzonte per 360 gradi.
Questa volta il mio “che strano” fu sentito da tutto l’equipaggio che con aria interrogativa guardava un po’ su e un po’ giu’ prima il cielo e poi il mare.
“Non dico che sia una cosa proprio normalissima ma state tranquilli, può succedere, può sicuramente succedere anche qui”. La voce del Professor Mimmo Picca saliva da un passo d’uomo dell’enorme cala vele di prua, il luogo dove bolina o lasco usava dormire per giorni intieri. La sua testa pelata fece capolino in coperta e tutti sorrisero vedendolo già intento a spalmarsi il capoccione con un’abbondante dose di crema gialla a protezione 32. Sembrava uno stregone aborigeno pronto a far festa ma oltre che essere uno stimatissimo medico iperbarico di fama internazionale aveva anche il pallino della biologia marina.
“Bah, avrete anche tutti ragione ma un bel verde così non lo vedevo da quando abbiamo lasciato Hawke Bay in Nuova Zelanda e non venitemi a dire che con quasi 3000 metri d’acqua sotto la carena è proprio normale” dissi io allungandomi fuoribordo per vedere meglio.
Fuoribordo acqua calma di un colore verde intenso, il sole, seppur basso sull’orizzonte, indubbiamente caldo per quelle latitudini
“Per me sono alghe; l’oceano qui è profondo e il colore dell’acqua dovrebbe essere molto più scuro, cupo” disse il professor Picca.
“ Nossignori!” era la voce del mio amico Tarek, “ qui ci sono 38 metri d’acqua e siamo sopra una roba che non si trova sulle nostre carte nautiche, non si trova in nessuna mappa del web e non vi e’ traccia di nulla di simile da nessuna parte.”
Maga: “Acqua a 19 gradi!”
A questo punto tutti a bordo di Stratosphere ci guardavamo con gli occhi leggermente piu’ aperti del solito . . . sbigottimento?
No, solo voglia di mettere una muta e buttarsi giu’.
continua ma scrivo con una mano sola e un dito solo, ho bisogno di tempo...
Esiste una zona dell’oceano Pacifico che è quasi sconosciuta a chi naviga per mare, assolutamente fuori da ogni rotta commerciale e ben alla larga da qualsiasi tentazione di esplorazione da parte di navigatori solitari o diportisti avventurosi.
Un triangolo di mare compreso tra Capo Horn a est, Easter Island (isola di Pasqua) a nord ed East Cape dell’Isola del Nord della Nuova Zelanda a ovest; a sud la tremenda zona dell’Antardide.
Con un vento di prua di 55 nodi la mia bellissima Stratosphere tirava una bolina maledettamente scomoda per arrivare a doppiare Capo Horn e lasciarsi di poppa le tempeste che a quelle latitudini impegnano l’oceano per trecentoquaranta giorni all’anno. Stratosphere era la copia esatta di Endeavour un famosissimo sloop bermudiano di 39 metri e mezzo di Camper e Nicholson varato nel 1934 la cui storia in coppa America fu oggetto dell’attenzione mondiale quando nel 1934 si battè contro Rainbow di Harold Vanderbilt perdendo malamente (4 a 2) benché fosse la barca piu’ veloce.
La storia di Endeavour mi aveva particolarmente affascinato, una barca che dopo tanti anni oscuri resuscitò grazie a Elisabeth Meyer, nipote di Kather Washington Post.
Endeavour, il piu’ veloce e famoso “J Class” mai costruito, giaceva negletto, adagiato sul fango sotto un hangar dell’Isola di Wine Graham.
La barca in stato di abbandono venne scoperta da Elisabeth Meyer che fulmineamente prese la decisione piu’ azzardata di tutta la sua vita: quella di acquistare Endeavour e di restaurarlo per riportarlo al primitivo splendore. Una simile idea era già passata per la mente al proprietario che lo aveva acquistato nel 1978, ma che aveva dovuto desistere dal proposito per successiva mancanza di fondi.
Per la ricostruzione di Endeavour, i cui piani originali erano andati distrutti in un incendio del cantiere durante la guerra, la Meyer scelse tre collaboratori che si rivelarono fondamentali: Frank Murdoch, ingegnere di ormai 81 anni che aveva partecipato alla fase di progettazione e di costruzione della barca; Gerry Dijkstra, ingegnere, velista e progettista di Jessica ed infine John Munfold, al quale venne conferito l’incarico di disegnare gli interni. Mentre a Calshot Split, nel cantiere allestito ex novo dalla Meyer, si lavorava alacremente al rifacimento dello scafo (sostituzione di almeno due terzi delle vecchie lamiere) l’intraprendente Meyer recuperava fondi grazie alla vendita di 50000 copie del suo volume “YACHTING”.
Nell’Agosto del 1986 Endeavour, scafo fiammante, venne rimorchiato attraverso la Manica e poi nelle acque interne sino a Vellenhobe in Olanda, dove proseguirono i lavori di ristrutturazione interna.
Sotto la sapiente regia di Walter Huisman, gli interni presero forma, arredi e mobili vennero ricostruiti in perfetto stile Edwardiano; tutti i ritrovati della piu’ alta tecnologia vennero impiegati per la strumentazione di bordo, mentre le vele vennero commissionate a Ted Hood a Marblehad. I colori originali dello scafo vennero rispettati: due tonalità di blu con una striscia di grigio chiaro lungo la linea di galleggiamento. La coperta fasciata in teak del Siam.
Io vidi Endeavour entrare nella baia di New York una mattina di Settembre e me ne innamorai a prima vista, decisi che quello splendore doveva essere mio. Pur mettendo a disposizione cifre piuttosto interessanti non riuscii mai a possedere lo yacht a causa dell’ostinazione degli eredi della Meyer; fu così che decisi di incaricare di nuovo un cantiere Inglese per avere una copia esatta di Endeavour.
Stratosphere fu varato il 25 Aprile 2010 e con una traversata da record raggiungemmo New York in soli 19 giorni. Portavo la barca controcorrente sul fiume Hudson a quasi 8 nodi: le sirene della Guardia Costiera ed i potenti getti d’acqua delle navette dei Vigili del Fuoco salutavano il nostro arrivo.
Rivedere l’oblò di dritta esattamente al suo posto fu per me quasi una sorpresa; la bolina stretta lo faceva solitamente abbassare sino a pelo d’acqua e ora stava al suo posto due metri sopra la linea di galleggiamento: ”che strano” dissi alzandomi dal mio lettone che, montato su di una splendida bascula in ottone massiccio, mi consentiva quale fortunato armatore di avere sempre il letto parallelo al mare; visti basculare i fornelli della cucina di bordo avevo voluto che lo stesso principio fosse applicato al mio letto nella cabina di poppa, una stravaganza che ovviava splendidamente alle andature scomode.
“Molto strano” pensai, anche tutti i quasi 700 metri quadri di bellissime vele in carbonio non spingevano piu’ lo Stratosphere in un mare cattivo, anzi, il mare da quell’oblò di dritta pareva assolutamente calmo e il vento? Scomparso.
Il mio magnifico skipper, una splendida fanciulla Italiana ex venditrice di jet privati, di nome Maga, – cugina di Giovanni Soldini e figlia di Gian Pio Maga ex comandante (fu il piu’ giovane in italia) di navi Liberty, fu a bordo delle piu' belle barche a vela del mondo e ultimamente espertissimo Comandante del porto di Porto Cervo - bussò delicatamente alla porta.
“ Abbiamo bel tempo, calma piatta e un verde smeraldo sotto la chiglia,… le condizioni ideali per fare asciugare le ossa, se poi con l’aggiunta di un bel piatto di gamberoni alla fiamma ed una bottiglia di Chablis… ritroviamo anche il buon umore, che male c’è? ”
“Come? Qui? Non ci posso credere”
“Dai vieni su e goditi questa bonaccia”
Assolutamente fermi, niente corrente, niente brezza ma per quella latitudine degli inaspettati magnifici 23 gradi di temperatura e poi quei colori che in un attimo avevano sostituito il cielo ed il mare freddi e plumbei. Niente all’orizzonte per 360 gradi.
Questa volta il mio “che strano” fu sentito da tutto l’equipaggio che con aria interrogativa guardava un po’ su e un po’ giu’ prima il cielo e poi il mare.
“Non dico che sia una cosa proprio normalissima ma state tranquilli, può succedere, può sicuramente succedere anche qui”. La voce del Professor Mimmo Picca saliva da un passo d’uomo dell’enorme cala vele di prua, il luogo dove bolina o lasco usava dormire per giorni intieri. La sua testa pelata fece capolino in coperta e tutti sorrisero vedendolo già intento a spalmarsi il capoccione con un’abbondante dose di crema gialla a protezione 32. Sembrava uno stregone aborigeno pronto a far festa ma oltre che essere uno stimatissimo medico iperbarico di fama internazionale aveva anche il pallino della biologia marina.
“Bah, avrete anche tutti ragione ma un bel verde così non lo vedevo da quando abbiamo lasciato Hawke Bay in Nuova Zelanda e non venitemi a dire che con quasi 3000 metri d’acqua sotto la carena è proprio normale” dissi io allungandomi fuoribordo per vedere meglio.
Fuoribordo acqua calma di un colore verde intenso, il sole, seppur basso sull’orizzonte, indubbiamente caldo per quelle latitudini
“Per me sono alghe; l’oceano qui è profondo e il colore dell’acqua dovrebbe essere molto più scuro, cupo” disse il professor Picca.
“ Nossignori!” era la voce del mio amico Tarek, “ qui ci sono 38 metri d’acqua e siamo sopra una roba che non si trova sulle nostre carte nautiche, non si trova in nessuna mappa del web e non vi e’ traccia di nulla di simile da nessuna parte.”
Maga: “Acqua a 19 gradi!”
A questo punto tutti a bordo di Stratosphere ci guardavamo con gli occhi leggermente piu’ aperti del solito . . . sbigottimento?
No, solo voglia di mettere una muta e buttarsi giu’.
continua ma scrivo con una mano sola e un dito solo, ho bisogno di tempo...
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