In anticipo davanti allo Yacht Club. In anticipo come tutte le volte che sono in ansia, come tutte le volte che affronto una situazione nuova, come tutte le volte che non conosco i luoghi; in anticipo, così da avere tempo per ambientarmi e fare le cose con calma, respirando piano.
La barca è ormeggiata, il nostro Caronte dorme: è davvero presto.
Alla spicciolata arrivano gli altri, quattro chiacchiere (loro, io sono zitta come non mai) e, abbandonate le scarpe sul molo, saliamo in barca.
Lasciamo il porto che la città sta accendendo le luci.
Il mare è un po’ incazzato, si balla durante il briefing. Quando arriviamo a Capo Santa Chiara non c’è più luce: il sole è tramontato e nuvoloni spessi nascondono la luna.
Sono nervosa.
Uno dopo l'altro, i miei compagni d'avventura saltano in acqua e spariscono nella notte.
È il mio turno. L’attrezzatura pesa, sono in bilico a poppa, le onde mi tolgono la barca da sotto i piedi, me la sto facendo sotto; ho la torcia, la torcia di backup, la lucetta chimica gialla sulla bombola (jingle bells).
NinjaGabri mi urla: “Buttati Vale! Decisa!”
Non la vedo. Non vedo niente.
Mano sulla maschera, l’altra dove capita, vado: passo del gigante, mi tuffo, riemergo.
Mi seguono Eroe e l’Omonero.
Qualcuno grida: “Polmoni di mare!”
Voglio vedere anch'io. Faccio per mettere giù la faccia quando un’onda mi ricopre: bevo, tossisco, sputazzo. Mi innervosisco.
Raggiungiamo la prua, ci scambiamo segnali, si scende. Sono tesissima, il respiro è affannoso, il mare agitato mi impedisce di fermarmi e provare a rilassarmi.
Ho paura, cazzo.
Eroe mi prende per un braccio, mi guarda negli occhi (il potere ipnotico dello sguardo, in acqua, è s t u p e f a c e n t e) e un nodo si scioglie; Eroe mi porta giù.
Volo nell’aria liquida della notte più buia della mia vita.
La discesa è breve, il fondale è a 12 metri e… ma che posto è questo? Sto sorvolando un pianeta sconosciuto, niente di ciò che vedo assomiglia a ciò che ho visto finora: uno stradone di sabbia bianchissima, rocce ricoperte di alghe rosse, spugne giallo limone, ombrellini di mare verdolini, conchiglie variopinte.
Realizzo: non c’è il blu! Non c'è il blu ad uniformare tutto! Per la prima volta, vedo gli abitanti del mare con i loro colori.
Procediamo lentissimi, attenti a non perdere nessun dettaglio; c’è la festa degli scorfani, ce ne saranno mille. E pescetti addormentati, palesemente infastiditi dalle luci, e strani vermi a due culi, e stelle marine di ogni dimensione (anche una zoppa), ricci, triglie baffute…
Sono in pace, la paura è svanita e voglio sperimentare il buio. Non oso spegnere la torcia, semplicemente la giro verso di me e l’appoggio sul petto; individuo le luci degli altri, poi guardo dove non c’è nessuno.
Per un attimo, sono nello spazio. E quest’emozione, davvero, la so raccontare solo così…
La barca è ormeggiata, il nostro Caronte dorme: è davvero presto.
Alla spicciolata arrivano gli altri, quattro chiacchiere (loro, io sono zitta come non mai) e, abbandonate le scarpe sul molo, saliamo in barca.
Lasciamo il porto che la città sta accendendo le luci.
Il mare è un po’ incazzato, si balla durante il briefing. Quando arriviamo a Capo Santa Chiara non c’è più luce: il sole è tramontato e nuvoloni spessi nascondono la luna.
Sono nervosa.
Uno dopo l'altro, i miei compagni d'avventura saltano in acqua e spariscono nella notte.
È il mio turno. L’attrezzatura pesa, sono in bilico a poppa, le onde mi tolgono la barca da sotto i piedi, me la sto facendo sotto; ho la torcia, la torcia di backup, la lucetta chimica gialla sulla bombola (jingle bells).
NinjaGabri mi urla: “Buttati Vale! Decisa!”
Non la vedo. Non vedo niente.
Mano sulla maschera, l’altra dove capita, vado: passo del gigante, mi tuffo, riemergo.
Mi seguono Eroe e l’Omonero.
Qualcuno grida: “Polmoni di mare!”
Voglio vedere anch'io. Faccio per mettere giù la faccia quando un’onda mi ricopre: bevo, tossisco, sputazzo. Mi innervosisco.
Raggiungiamo la prua, ci scambiamo segnali, si scende. Sono tesissima, il respiro è affannoso, il mare agitato mi impedisce di fermarmi e provare a rilassarmi.
Ho paura, cazzo.
Eroe mi prende per un braccio, mi guarda negli occhi (il potere ipnotico dello sguardo, in acqua, è s t u p e f a c e n t e) e un nodo si scioglie; Eroe mi porta giù.
Volo nell’aria liquida della notte più buia della mia vita.
La discesa è breve, il fondale è a 12 metri e… ma che posto è questo? Sto sorvolando un pianeta sconosciuto, niente di ciò che vedo assomiglia a ciò che ho visto finora: uno stradone di sabbia bianchissima, rocce ricoperte di alghe rosse, spugne giallo limone, ombrellini di mare verdolini, conchiglie variopinte.
Realizzo: non c’è il blu! Non c'è il blu ad uniformare tutto! Per la prima volta, vedo gli abitanti del mare con i loro colori.
Procediamo lentissimi, attenti a non perdere nessun dettaglio; c’è la festa degli scorfani, ce ne saranno mille. E pescetti addormentati, palesemente infastiditi dalle luci, e strani vermi a due culi, e stelle marine di ogni dimensione (anche una zoppa), ricci, triglie baffute…
Sono in pace, la paura è svanita e voglio sperimentare il buio. Non oso spegnere la torcia, semplicemente la giro verso di me e l’appoggio sul petto; individuo le luci degli altri, poi guardo dove non c’è nessuno.
Per un attimo, sono nello spazio. E quest’emozione, davvero, la so raccontare solo così…
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