Caro Alastar,
ti ringrazio per l'interesse che esprimi nei confronti di quanto scrivo, e credimi se ti dico che è un interesse da me ricambiato. Ho apprezzato la tua puntualizzazione, così come ho apprezzato Rana che assai meglio di me ha espresso il concetto che volevo io stesso illustrare.
n effetti, non era mia intenzione enfatizzare l'esempio che ho descritto, ma soltanto sottolineare come aspetti della vita quotidiana ci pongano di fronte a scelte etiche, magari di secondaria importanza, certo, ma pur sempre scelte etiche.
Kierkegaard diceva che il dover effettuare scelte è la cosa più "stressante" per l'essere umano, e quindi considerava la vita umana come angosciosa, poichè siamo tutti continuamente chiamati a a fare scelte... beh lui la metteva giù fin troppo dura, ma in effetti, non dico perderci il sorriso, perdere la consapevolezza dell'aspetto anche etico di tante scelte quotidiane potrebbe portare ad una certa anestesia quando ci si trova di fronte a dover prendere posizioni davvero decisive.
Potrebbe sembrare facile e riposante evitare di fare scelte, di prendere posizione, delegare qualcun altro a farle al posto nostro, ma sarebbe come rinunciare a vivere. Vivere... una parola che ha la radice "vi", il suono del digamma greco antico, presente in parole come volontà, vita, violenza (violenza intesa non come brutalità, ma come forza naturale, che in latino veniva tradotta col termine vis)... vita come espressione di volontà (ma non di prevaricazione), vita come confronto, vita come contrapposizione all'immobilità ed alla passività. E la rinuncia a vivere la vita come espressione di se stessi attraverso le scelte che ogni giorno compiamo, porta al rifiuto degli altri, all'annichilimento, all'autoemarginazione, in una parola, al sucidio intellettuale, che è un solo passo distante dal suicidio fisico.
Un Caro Saluto
Marco
ti ringrazio per l'interesse che esprimi nei confronti di quanto scrivo, e credimi se ti dico che è un interesse da me ricambiato. Ho apprezzato la tua puntualizzazione, così come ho apprezzato Rana che assai meglio di me ha espresso il concetto che volevo io stesso illustrare.
n effetti, non era mia intenzione enfatizzare l'esempio che ho descritto, ma soltanto sottolineare come aspetti della vita quotidiana ci pongano di fronte a scelte etiche, magari di secondaria importanza, certo, ma pur sempre scelte etiche.
Kierkegaard diceva che il dover effettuare scelte è la cosa più "stressante" per l'essere umano, e quindi considerava la vita umana come angosciosa, poichè siamo tutti continuamente chiamati a a fare scelte... beh lui la metteva giù fin troppo dura, ma in effetti, non dico perderci il sorriso, perdere la consapevolezza dell'aspetto anche etico di tante scelte quotidiane potrebbe portare ad una certa anestesia quando ci si trova di fronte a dover prendere posizioni davvero decisive.
Potrebbe sembrare facile e riposante evitare di fare scelte, di prendere posizione, delegare qualcun altro a farle al posto nostro, ma sarebbe come rinunciare a vivere. Vivere... una parola che ha la radice "vi", il suono del digamma greco antico, presente in parole come volontà, vita, violenza (violenza intesa non come brutalità, ma come forza naturale, che in latino veniva tradotta col termine vis)... vita come espressione di volontà (ma non di prevaricazione), vita come confronto, vita come contrapposizione all'immobilità ed alla passività. E la rinuncia a vivere la vita come espressione di se stessi attraverso le scelte che ogni giorno compiamo, porta al rifiuto degli altri, all'annichilimento, all'autoemarginazione, in una parola, al sucidio intellettuale, che è un solo passo distante dal suicidio fisico.
Un Caro Saluto
Marco
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