Il mare, a volte ti lascia lì con la voglia sulla pelle. Sei pronto, sei pronto per tutta la settimana, arriva il momento, il tuo week end da buon cipputi, e lui si agita, non ha voglia di farti entrare, ti lascia a guardar la schiuma da fuori. Tu avevi immaginato d’andar per gerardia all’indiano e invece no, stai fuori a guardar la schiuma. Ti viene voglia però di veder la schiuma, là dove c’è l’indiano e la gerardia, ti vien voglia di far dispetto al mare dispettoso.
Prendo ghiso , il mio mezzo di trasporto, a bordo ho bricconetti e calzettoni, la mia sette ottavi carica i suoi bricconetti, io lo zaino con giacche a vento e l’indispensabili vivande per sopravvivere confortevolmente ad una giornata segnata dallo scarpinare per quel monte che non ci ha voluto nella sua acqua.
Autostrada, uscita recco arrivo a camogli. Posteggio. Ci vestiamo da veri trekkingisti o trekkingatori e i bricconetti, che danno lustro ai nostri piedi, ci promettono passi importanti.
Si parte verso la prima tappa: san rocco. Circa 800 scalini e si è arrivati; una bevuta alla fontanella e prendiamo il viottolo che fiancheggia la chiesa, passa tra le casette di campagna che guardano una dei più bei pezzi di mare del mondo, si lancia lentamente in salita diventando mulattiera per portarci fino a Portofino vetta. Da Portofino vetta parte il vero tour sul monte. Decidiamo di percorrere più sentieri possibili. Inizia il cammino per la strada principale , chiusa al sole dallo stesso monte, umida nel volgersi a nord, umida e scivolosa. Lasciamo la strada e iniziamo a salire per il sentiero che ci porta al semaforo vecchio. I tornanti iniziano a mostrarci una macchia mediterranea tipicamente scapigliata. Si arriva al semaforo vecchio che, credo, sia il punto più alto del monte di Portofino. Scendiamo per il sentiero che porta a pietre strette, il primo pezzo di discesa è molto discesoso e le gambe si impettano, i muscoli delle cosce sembrano battere su un tamburo. La discesosa finisce e il sentiero si raddolcisce e splendidi costi di pungitopo si fanno vedere con quel verde carico e quelle bacche rosse . passato il folto boschetto di pungitopo mi aspetto di vedere un’orda di topi in preda al dolore delle punture del pungitopo, ma di topi neanche l’ombra, pazienza. In diversi punti il terreno del monte è praticamente arato, sarchiato dagli ultimi contadini che lo abitano: i cinghiali. Tutto il monte è popolato di sti contadini pelosi che svangano ovunque terra aiutati dall’altra famiglia di coloni:le capre.
Il nostro camminare ci porta ad arrivare a pietre strette. Scendiamo per il sentiero che porta a san fruttuoso ma giunti quasi all’agriturismo deviamo per il sentiero che porta a base O . iniziato il sentiero un pezzo di terreno è recintato e si intravede un tentativo di orto. Chi coltiva quell’orto o è l’uomo sapiens sapiens alle prime armi con l’agricoltura o è qualche cittadino che ha deciso di amare la natura senza sapere che vuol dir natura. i miei occhi sorridono e i miei piedi continuano a camminare. Gli occhi sorridono un po’ meno quando inizia la salita assai impervia. Stringo i denti e da vero alpino di mare inizio a muovere piccoli passi cadenzati come il respiro, affronto la fatica con sfida. Sudo, ma mi compiaccio della mia tenacia e mentre soffio come un mantice tiro su un’occhio e vedo la mia setteottavi che balzella sul sentiero come fosse su un praticello a coglier violette cantando mariù. Il mio orgoglio va a puttane, unico vantaggio è che non paga.
Si giunge alla fine della salita sul raccordo col sentiero che porta a base O. via, le gambe si sciolgono in una discesa tranquilla che ci porta ad incrociare il sentiero di Portofino mare. L’incrocio porta gli occhi e il cuore a sporgersi sul mare. Tra corbezzoli, mirto pini olivi, castagni, “salsapariglia” (sempreverde spinoso di cui so solo il nome in vulgo) il corpo si sbilancia verso il mare, nel contrasto di questo verde mediterraneo, tutto pungiglioso, che strapiomba col grigio a pois delle rocce nel blu del mare.
Si va ad oriente, il sentiero sale e scende nel costeggiare il monte ed è un continuo balenare di emozioni visive. Arriviamo sulla cresta dove la baia lussuriosa di Portofino si va vedere. Non abbiamo voglia di scendere nella civiltà e voltandoci giriamo il culo all’oriente ed io porto il mio pisello ad indicare l’occidente con tendenza al centro della terra. Torniamo indietro sullo stesso sentiero, arrivati all’incrocio col sentiero che da base O porta su, noi si prosegue dritti verso la baia di san fruttuoso. Il pezzo di sentiero è di nuovo un susseguirsi visivo di capolavori di madre natura. inizia un discesone discesoso che ci porta alla baia di san fruttuoso. Passiamo la ciottolosa spiaggia, per i nostri gusti un po’ troppo popolosa, e ci portiamo sulla banchina in cemento dove attraccano i traghetti. Da lì vedo la boa dell’indiano schiumare schiumosa, la guardo, sorrido e penso :”t’ho fottuta”. Mando un pensiero di saluto a elvira, così ho chiamato il coraggioso rametto di gerardia.
Noi si mangia lo zaino, o meglio il suo contenuto potabile, un po’ di sole eppoi in piedi, carica zaino e si inizia la salita che da san fruttuoso porta nuovamente a pietre strette. La salita è dura, prendo il passo e dopo un po’ di tornanti inizio a ridere. Un po’ rido per scompenso cerebrale dovuto alla carenza di ossigeno, un po’ perché mi sento come un pestello nel mortaio a far salse mediterranee. con i piedi sto schiacciando olive, corbezzoli,pinoli, ghiande, castagne mentre sento profumo di rosmarino e pungo le mie gambe con la pianta dell’asparago. I miei piedi non disdegnano di schiacciare anche presunte olive, accertate in merda di capra. Gli ingredienti promettono una dieta equilibrata e al passo coi tempi.
Giunti a pietre stratte si prende il sentiero per il semaforo nuovo. Altro pezzo di sentiero che appende alla retina un altro fantastico quadro. Arrivati al semaforo nuovo la vista ti svista.
Ci siamo fatti violentare le membra da quella svista per bene, mi sono magnato un’arancia quale tributo sacrificale, eppoi di nuovo riprendi a muovere i bricconetti per salire nuovamente al semaforo vecchio. Le mie cosce sono un po’ indolenzite ma reagiscono bene, guardo i bricconetti che mostrano la loro bontà materiale e sorrido di nuovo da solo come uno scemo: i bricconetti belli e le mie cosce indolenzite portano per analogia alle tante discussioni sulle pinne. La verità divina si apre al mio sapere ingrassandolo: puoi avere i bricconetti o le pinne più più…, che, senza gambe allenate, a fare in culo puoi andare; tale movimento non vuole essere lesivo od offensivo, anche perché, andare a fare in culo, ha il grosso pregio di essere totalmente gratuito .
Arrivati alla vetta del semaforo vecchio, na bevuta acquosa e si ridiscende facendo tappa nella piazzetta belvedere di san rocco, poi giù dai gradini a prendere contatto col ghiso, tocca a lui ora di far muovere le nostre membra stanche.
Perché ho scritto sta roba? Perché nel camminare sul monte si ritrovano gli stessi ambienti che si trovano sott’acqua con la variante della flora e della fauna, ma la morfologia quella è ed è da ovunque vedere. Se non siete andati andate, se non siete scaduti mangiatevi in tempo per non esser tossici.
Prendo ghiso , il mio mezzo di trasporto, a bordo ho bricconetti e calzettoni, la mia sette ottavi carica i suoi bricconetti, io lo zaino con giacche a vento e l’indispensabili vivande per sopravvivere confortevolmente ad una giornata segnata dallo scarpinare per quel monte che non ci ha voluto nella sua acqua.
Autostrada, uscita recco arrivo a camogli. Posteggio. Ci vestiamo da veri trekkingisti o trekkingatori e i bricconetti, che danno lustro ai nostri piedi, ci promettono passi importanti.
Si parte verso la prima tappa: san rocco. Circa 800 scalini e si è arrivati; una bevuta alla fontanella e prendiamo il viottolo che fiancheggia la chiesa, passa tra le casette di campagna che guardano una dei più bei pezzi di mare del mondo, si lancia lentamente in salita diventando mulattiera per portarci fino a Portofino vetta. Da Portofino vetta parte il vero tour sul monte. Decidiamo di percorrere più sentieri possibili. Inizia il cammino per la strada principale , chiusa al sole dallo stesso monte, umida nel volgersi a nord, umida e scivolosa. Lasciamo la strada e iniziamo a salire per il sentiero che ci porta al semaforo vecchio. I tornanti iniziano a mostrarci una macchia mediterranea tipicamente scapigliata. Si arriva al semaforo vecchio che, credo, sia il punto più alto del monte di Portofino. Scendiamo per il sentiero che porta a pietre strette, il primo pezzo di discesa è molto discesoso e le gambe si impettano, i muscoli delle cosce sembrano battere su un tamburo. La discesosa finisce e il sentiero si raddolcisce e splendidi costi di pungitopo si fanno vedere con quel verde carico e quelle bacche rosse . passato il folto boschetto di pungitopo mi aspetto di vedere un’orda di topi in preda al dolore delle punture del pungitopo, ma di topi neanche l’ombra, pazienza. In diversi punti il terreno del monte è praticamente arato, sarchiato dagli ultimi contadini che lo abitano: i cinghiali. Tutto il monte è popolato di sti contadini pelosi che svangano ovunque terra aiutati dall’altra famiglia di coloni:le capre.
Il nostro camminare ci porta ad arrivare a pietre strette. Scendiamo per il sentiero che porta a san fruttuoso ma giunti quasi all’agriturismo deviamo per il sentiero che porta a base O . iniziato il sentiero un pezzo di terreno è recintato e si intravede un tentativo di orto. Chi coltiva quell’orto o è l’uomo sapiens sapiens alle prime armi con l’agricoltura o è qualche cittadino che ha deciso di amare la natura senza sapere che vuol dir natura. i miei occhi sorridono e i miei piedi continuano a camminare. Gli occhi sorridono un po’ meno quando inizia la salita assai impervia. Stringo i denti e da vero alpino di mare inizio a muovere piccoli passi cadenzati come il respiro, affronto la fatica con sfida. Sudo, ma mi compiaccio della mia tenacia e mentre soffio come un mantice tiro su un’occhio e vedo la mia setteottavi che balzella sul sentiero come fosse su un praticello a coglier violette cantando mariù. Il mio orgoglio va a puttane, unico vantaggio è che non paga.
Si giunge alla fine della salita sul raccordo col sentiero che porta a base O. via, le gambe si sciolgono in una discesa tranquilla che ci porta ad incrociare il sentiero di Portofino mare. L’incrocio porta gli occhi e il cuore a sporgersi sul mare. Tra corbezzoli, mirto pini olivi, castagni, “salsapariglia” (sempreverde spinoso di cui so solo il nome in vulgo) il corpo si sbilancia verso il mare, nel contrasto di questo verde mediterraneo, tutto pungiglioso, che strapiomba col grigio a pois delle rocce nel blu del mare.
Si va ad oriente, il sentiero sale e scende nel costeggiare il monte ed è un continuo balenare di emozioni visive. Arriviamo sulla cresta dove la baia lussuriosa di Portofino si va vedere. Non abbiamo voglia di scendere nella civiltà e voltandoci giriamo il culo all’oriente ed io porto il mio pisello ad indicare l’occidente con tendenza al centro della terra. Torniamo indietro sullo stesso sentiero, arrivati all’incrocio col sentiero che da base O porta su, noi si prosegue dritti verso la baia di san fruttuoso. Il pezzo di sentiero è di nuovo un susseguirsi visivo di capolavori di madre natura. inizia un discesone discesoso che ci porta alla baia di san fruttuoso. Passiamo la ciottolosa spiaggia, per i nostri gusti un po’ troppo popolosa, e ci portiamo sulla banchina in cemento dove attraccano i traghetti. Da lì vedo la boa dell’indiano schiumare schiumosa, la guardo, sorrido e penso :”t’ho fottuta”. Mando un pensiero di saluto a elvira, così ho chiamato il coraggioso rametto di gerardia.
Noi si mangia lo zaino, o meglio il suo contenuto potabile, un po’ di sole eppoi in piedi, carica zaino e si inizia la salita che da san fruttuoso porta nuovamente a pietre strette. La salita è dura, prendo il passo e dopo un po’ di tornanti inizio a ridere. Un po’ rido per scompenso cerebrale dovuto alla carenza di ossigeno, un po’ perché mi sento come un pestello nel mortaio a far salse mediterranee. con i piedi sto schiacciando olive, corbezzoli,pinoli, ghiande, castagne mentre sento profumo di rosmarino e pungo le mie gambe con la pianta dell’asparago. I miei piedi non disdegnano di schiacciare anche presunte olive, accertate in merda di capra. Gli ingredienti promettono una dieta equilibrata e al passo coi tempi.
Giunti a pietre stratte si prende il sentiero per il semaforo nuovo. Altro pezzo di sentiero che appende alla retina un altro fantastico quadro. Arrivati al semaforo nuovo la vista ti svista.
Ci siamo fatti violentare le membra da quella svista per bene, mi sono magnato un’arancia quale tributo sacrificale, eppoi di nuovo riprendi a muovere i bricconetti per salire nuovamente al semaforo vecchio. Le mie cosce sono un po’ indolenzite ma reagiscono bene, guardo i bricconetti che mostrano la loro bontà materiale e sorrido di nuovo da solo come uno scemo: i bricconetti belli e le mie cosce indolenzite portano per analogia alle tante discussioni sulle pinne. La verità divina si apre al mio sapere ingrassandolo: puoi avere i bricconetti o le pinne più più…, che, senza gambe allenate, a fare in culo puoi andare; tale movimento non vuole essere lesivo od offensivo, anche perché, andare a fare in culo, ha il grosso pregio di essere totalmente gratuito .
Arrivati alla vetta del semaforo vecchio, na bevuta acquosa e si ridiscende facendo tappa nella piazzetta belvedere di san rocco, poi giù dai gradini a prendere contatto col ghiso, tocca a lui ora di far muovere le nostre membra stanche.
Perché ho scritto sta roba? Perché nel camminare sul monte si ritrovano gli stessi ambienti che si trovano sott’acqua con la variante della flora e della fauna, ma la morfologia quella è ed è da ovunque vedere. Se non siete andati andate, se non siete scaduti mangiatevi in tempo per non esser tossici.
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