"Ho accarezzato l'Andrea Doria"

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    L'anno e' il 1968, la profondita' tra i -60 e i -75, muta umida e niente guanti. E nasce il mito...
    Per chi si trovasse nei paraggi di Genova, sabato 19 al Galata in occasione del Premio Marcante ci sara' anche Stefano Carletti che, insieme a Bruno Vailati, Al Giddings, Mimì Dies e Arnaldo Mattei, ben 54 anni fa fecero l'impresa. Personalmente ritengo Carletti, e gli altri del suo gruppo, delle divinita' della subacquea. Quel che hanno fatto, e quando lo hanno fatto, ha qualcosa di letteralmente mitologico.
    Traggo da La Stampa:


    Carletti: “Ho accarezzato l’Andrea Doria, aveva qualcosa di magico”


    Il sub della prima immersione italiana sul relitto: “La spedizione nacque dopo la rinuncia di Costeau. Per noi era normale scendere con mute umide anziché stagne, mani nude e attrezzature oggi antidiluviane”. Sabato 19 sarà al Galata Museo del Mare di Genova per il Premio Marcante

    FABIO POZZO
    18 Febbraio 2022
    Modificato il: 18 Febbraio 2022

    3 minuti di lettura
    La copertina del libro "Andrea Doria -74" di Stefano Carletti. E' la foto che ritrae l'autore mentre pulisce la scritta "Andrea Doria" sul relitto nell'immersione del 1968


    Stefano Carletti torna da dove l’Andrea Doria era salpata per il suo ultimo viaggio. Il subacqueo è l’unico rimasto di una impresa epica, che lui però si ostina a chiamare “lavoro”: nel luglio del 1968 s’immerse sul relitto dell’ammiraglia italiana speronata a morte dallo Stockholm nel 1956 al largo di Nantucket, davanti alle coste statunitensi, insieme con Bruno Vailati, Al Giddings, Mimì Dies e Arnaldo Mattei. Fu la prima discesa sulla nave compiuta da sub italiani ed è passata alla storia.

    Domani, sabato 19 febbraio, a Genova, alle 16 all’auditorium del Galata Museo del Mare, sarà proprio Carletti a raccontarla, nell’ambito della ventiduesima edizione del Premio Marcante, l’Oscar della subacquea italiana intitolato al pioniere del mare Duilio Marcante, organizzato dall’Uisp subacquea (da 12 anni al museo). Un evento a cui parteciperanno anche Ninni Ravazza, Andrea Murdock Alpini e Franco Martini e che vedrà anche l’inaugurazione della mostra “Storia del Cristo degli Abissi” (Marcante è stato uno dei fautori della posa della statua a S. Fruttuoso di Camogli) e la consegna del Premio Speciale della Regione Liguria.







    Carletti, perché lavoro e non impresa?

    “Perché all’epoca per noi era tutto normale: scendere a 75 metri con la muta umida anziché stagna, a mani nude, con attrezzature che oggi sono ritenute antidiluviane... All'epoca chi si immergeva lo faceva per lavororano, erano i sommozzatori e i palombari, mentre adesso gli scopi sono anche ludici e scientifici. Noi non pensavamo all’avventura, ma a portare a casa le riprese. Giravamo senza poter controllare la qualità delle immagini, che avremmo rivisto solo dopo un mese a Roma. E pregavamo il Cielo non fossero buone”.

    Come nasce quella spedizione?

    “Per scherzo. Ero con Bruno Vailati ed altri a Lampedusa a girare per “Sette Mari”, una produzione Rai. Una sera a cena, sulla nave d’appoggio, eravamo tutti piuttosto allegri e mi presero in giro perché i miei amici francesi della squadra di Jacques-Yves Cousteau avevano abbandonato l’idea di una spedizione sull’Andrea Doria. Finché io sbottai e dissi: “Se il relitto fosse più vicino ci andrei io e lo smonterei bullone su bullone”. La cosa finì lì. Quando poi in seguito tornai a Roma, incontrai Vailati che mi disse: “Domani viene alla conferenza stampa: andiamo sul Doria”. Rimasi di sasso”.

    Chi vi finanziò?

    “C’era la produzione Rai, ci acquistò in anticipo un servizio in esclusiva la “Domenica del Corriere”, che poi uscì con 16 pagine. Per il programma saremmo dovuti rimanere a Nantucket solo una settimana, invece vi restammo un mese. Non avevamo idea di dove fosse il relitto: noleggiammo una barca dai un pescatore che ci guidò”

    Un’impresa. Adesso lo può dire.

    “Soprattutto ce lo dissero gli altri. La spedizione ebbe successo. Montammo il documentario “Andrea Doria -74”, con immagini che fortunatamente risultarono buone, lo presentammo anche alla Mostra del cinema di Venezia, dove Vailati vinse il David di Donatello per la regia. Uscì il libro omonimo, che oggi ho ripubblicato con Magenes. Tanti riconoscimenti”.

    Una immersione non facile.

    “Non tanto per la profondità, tra i -60 e i -75 era normale per noi, ma per le condizioni. Avevamo gettato un ancorotto fissato al relitto e in superficie a una boa e scendevamo lungo la cima. Sott’acqua non si vedeva, nelle migliori delle ipotesi, oltre venti metri di distanza. Faceva freddo, avevamo poca luce, l’acqua era intorbidita dal plancton, c’era una corrente che ti portava via. Avanzammo lungo lo scafo, da poppa a prua, trascinandoci lungo la battagliola, le sovrastrutture e agganciati a un filo d’Arianna. Io sono anche entrato nel relitto, ho nuotato in un salone, nella piscina. Quando atterrammo la prima volta sulle lamiere poteva essere una nave qualsiasi, così andammo prima a poppa, a cercare il nome: la scritta era coperta, riuscii a pulire solo “Andrea”. Allora andammo verso prua, dove il nome risultava in piano rispetto a quello di poppa ed era meno coperto dai detriti e qui riuscimmo a vedere l’intera scritta, "Andrea Doria"”.

    C’erano anche squali.

    “Sì, azzurri, di 3, 3,5 metri di lunghezza. In profondità li vedemmo, ma non ci diedero fastidio. Qualche problema in più ce lo diedero in risalita e durante la fase decompressione, che quando l’onda ce lo consentiva compivamo in una gabbia fissata alla barca. Una volta uno squalo attaccò Al Giddings: lo vidi scalciare, mi avvicinai con un bastone acuminato e allontanai quell’animale a colpi sul muso e nelle branchie”.

    Che cosa le resta dell’Andrea Doria?

    “Quella nave aveva qualcosa di magico che, ho realizzato dopo, ha caratterizzato il resto della mia vita. Mi sono immaginato anche che sia stato perché pulendo il suo nome, è come se le avessi dato una carezza e la nave stessa mi abbia voluto ringraziare in qualche modo”.



    Tratto da La Stampa:
    https://www.lastampa.it/mare/2022/02...gico_-2858199/
    Ultima modifica di Steinoff; 19-02-2022, 14:54.

  • #2
    Originariamente inviato da Steinoff Visualizza il messaggio
    L'anno e' il 1968, la profondita' tra i -60 e i -75, muta umida e niente guanti. E nasce il mito...
    Un vero mito!
    Tre anni dopo acquistai la mia prima muta; la stessa che indossa Carletti nella foto

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    • #3
      Originariamente inviato da Pablito. Visualizza il messaggio

      Un vero mito!
      Tre anni dopo acquistai la mia prima muta; la stessa che indossa Carletti nella foto
      Gente cosi', a quei tempi, le aveva controrotanti e fumanti, hanno tutto il mio rispetto.
      Devo dire che ti invidio tantissimo, Pablito, perche' quella muta per me e' un'icona, sempre e solo vista in tv ma quella, per me tutt'ora, vuol dire Subacquea

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      • #4
        Originariamente inviato da Steinoff Visualizza il messaggio

        Gente cosi', a quei tempi, le aveva controrotanti e fumanti, hanno tutto il mio rispetto.
        Devo dire che ti invidio tantissimo, Pablito, perche' quella muta per me e' un'icona, sempre e solo vista in tv ma quella, per me tutt'ora, vuol dire Subacquea
        Pulendo gli armadi della sede del nostro club ne ho trovate 3 di quelle mute. La migliore l’abbiamo tenuta

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        • #5
          Originariamente inviato da coffy84 Visualizza il messaggio

          Pulendo gli armadi della sede del nostro club ne ho trovate 3 di quelle mute. La migliore l’abbiamo tenuta
          Ma che mito! Avete fatto strabene, e' un simbolo, un'icona di qualcosa che non c'e' piu' e da cui deriva il nostro modo di andare sott'acqua. Per favore, se e quando riesci, fagli delle foto da mettere qui

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          • #6
            Originariamente inviato da Steinoff Visualizza il messaggio

            Ma che mito! Avete fatto strabene, e' un simbolo, un'icona di qualcosa che non c'e' piu' e da cui deriva il nostro modo di andare sott'acqua. Per favore, se e quando riesci, fagli delle foto da mettere qui
            Certo, l’idea è quella di montarla su un manichino con il resto dell’attrezzatura ( ho trovato un vecchio bibo di quelli con la riserva manuale con ancora il suo imbrago e un mistral mono stadio) ed esporla in sede

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            • #7
              Originariamente inviato da coffy84 Visualizza il messaggio
              Certo, l’idea è quella di montarla su un manichino con il resto dell’attrezzatura ( ho trovato un vecchio bibo di quelli con la riserva manuale con ancora il suo imbrago e un mistral mono stadio) ed esporla in sede
              E wawww, che meraviglia! Fate benissimo a realizzare un manichino cosi' vestito, e' memoria storica che non va assolutamente persa.
              Da me abbiamo un vecchio gav, di quelli che avevano il bombolino separato se ho capito bene, ma non saprei dirti di quanti anni fa sia. Bisogna che mi informi

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